Cenni Storici

di Giuseppe Schirò

 

Parlare dell'Archivio di un Ente è lo stesso che aprirne le porte per guardarvi dentro e per farne la storia dall'interno. Il compito è particolarmente affascinante quando si tratta di un Ente come l'Arcivescovato di Monreale che ha superato gli otto secoli di esistenza ed ha avuto un peso non indifferente nelle vicende storiche della nostra Sicilia. È merito dell'Arcivescovo di Monreale, mons. Salvatore Cassisa, aver voluto l'ordinamento razionale e sistematico dell'Archivio storico dell'Arcivescovato, nel quadro di una serie di iniziative culturali di vasto respiro, nella consapevolezza della grandissima importanza che ha tale complesso di scritture. Giustamente è stato osservato che "un popolo si giudica dalle carte". È anche merito dell'Amministrazione Provinciale di Palermo aver dimostrato sensibilità e lungimiranza culturali disponendo un primo intervento finanziario per la realizzazione di una iniziativa del genere predetto. Ritengo inoltre opportuno sottolineare che - pur affascinante - il compito affidatomi da mons. Cassisa di ordinare scientificamente l'Archivio storico dell'Arcivescovato di Monreale è stato piuttosto gravoso e molto impegnativo.

La fondazione dell'Arcivescovato di Monreale avviene nel momento culminante della potenza e del prestigio della Monarchia normanna di Sicilia e si deve alla decisione del re Guglielmo II. Uno degli obiettivi di fondo della politica interna dei sovrani normanni era la latinizzazione dei numerosi saraceni che popolavano la Sicilia occidentale. Per raggiungere questo obiettivo essi non ricorrono alla forza. Sibbene preferiscono il metodo della penetrazione religiosa e civile. Ma, al tempo di re Guglielmo II tale traguardo era ben lungi dall'essere raggiunto. Si colloca allora nell'ottica di questo sforzo la decisione di fondare l'Arcivescovato di Monreale. Per questo egli costruisce accanto al palazzo reale, sito nel parco reale di caccia alle falde del monte Caputo, un monastero con un meraviglioso chiostro e con una annessa chiesa di eccezionale valore e bellezza, da superare ogni precedente costruzione normanna e tale da lasciare attoniti i contemporanei ed i posteri e da destinare anche a mausoleo familiare: cinge infine quell'insieme con mura e torri, sì da costituire una fortezza inespugnabile, alle spalle della capitale Palermo, in una posizione di grande importanza strategica per il facile collegamento che vi si poteva stabilire con il resto della Sicilia occidentale e soprattutto con Giato, che era una roccaforte musulmana. I lavori hanno inizio, come sembra, nel 1172, cioè non appena Guglielmo, uscito dalla minore età, comincia a regnare. Informato della grandiosità del disegno, mentre i lavori sono in corso, il papa Alessandro III, accorda subito una serie di privilegi, come l'esenzione del monastero dalla giurisdizione spirituale di qualsiasi altra autorità, la facoltà di ricevere beni di qualsiasi specie da ogni parte e da chicchessia, l'esenzione dalle tasse, il diritto di asilo, le insegne di Vescovo per l'Abate e la giurisdizione spirituale sul territorio e sulle persone appartenenti al monastero.

Re Guglielmo quindi si rivolge ai benedettini, uno degli Ordini religiosi più fiorenti in quell'epoca e, nel 1176, dal monastero di Cava dei Tirreni, un folto stuolo di monaci viene a popolare il monastero. Il 15 agosto di quello stesso anno, il Re depone sull'altare maggiore del nuovo tempio una Bolla d'oro, contenente ancora altri privilegi ed altre concessioni, avvalendosi anche dei poteri giurisdizionali che i Re di Sicilia esercitavano in forza dell'Apostolica legazia. Questa bolla segna l'inizio di una serie di concessioni che si estrinsecano anzitutto nell'attribuzione all'Abate dei poteri temporali sui castelli di Giato, Corleone, Calatrasi e sui rispettivi territori e poi su altri territori ancora, in Sicilia e perfino in Calabria, e quindi nell'attribuzione di molti altri privilegi alcuni dei quali insoliti e particolarmente importanti dal punto di vista economico e commerciale. Inoltre accorda all'Abate un privilegio raro e di grandissimo prestigio: quello di Giustiziere, titolare del potere giudiziario sui territori e sulle persone sottoposte al Monastero. Nel 1183, papa Lucio III, confermando i precedenti privilegi e ratificando le concessioni regie, conferisce all'Abate il grado di Arcivescovo metropolita assegnandogli Catania come suffraganea. Nel 1188 Clemente III aggiungerà ancora Siracusa come suffraganea. Il benedettino fra' Guglielmo, successore del primo Abate, fra' Teobaldo, è il primo Arcivescovo.

L'Archidiocesi di Monreale, in virtù delle concessioni di Guglielmo diviene una delle più vaste e più ricche del Regno di Sicilia. I benedettini venuti a Monreale provenivano da un monastero quale era Cava dei Tirreni, che possedeva un importante scriptorium, una biblioteca ed un ricco archivio dove si conservavano i titoli relativi alle donazioni affluite al Monastero. A Monreale essi avvertono ugualmente l'esigenza di costituire un Archivio per la conservazione dei "privilegi" relativi alla giurisdizione ed alle concessioni, molto più da quando, in seguito alla prematura morte del Re, avvenuta nel 1189, inizia per il Regno di Sicilia un periodo assai burrascoso ed in cui si scatenano quelle forze centrifughe che tendono a disperdere quanto Guglielmo II aveva concentrato a Monreale. Per questo motivo le vicende dell'Archivio cominciano a diventare tormentate. Agli inizi del sec. XIV i preziosi documenti contenenti le concessioni ed i privilegi erano male conservati e, in gran parte, dispersi, constata Arnaldo di Rexac, spagnolo, Arcivescovo di Monreale dal 13O6 al 1324. La sua promozione alla sede monrealese era stata ostacolata da alcuni che "possedevano una parte dei beni della Chiesa di Monreale". Egli perciò da buon diplomatista qual era, "raccolse in un libro le scritture dei privilegi e contratti più importanti della sua Chiesa", sotto il titolo di Liber privilegiorum Sancte Montis Regalis ecclesie. Il volume, denominato in seguito Codice di Rexac, contiene in tutto 84 diplomi, scritti in latino. Sino alla fine del sec. XVI ne esistevano quattro copie: una presso la Biblioteca vaticana, dove ancora si conserva, e tre in Monreale: ma qui oggi se ne conserva solo una, presso la biblioteca del Seminario. Nella prefazione Arnaldo manifesta la sua intenzione di preparare anche una raccolta dei diplomi scritti in greco ed in arabo ma, forse a causa delle difficoltà di reperire fidum interpretem, come egli stesso si esprime, non mantiene il suo proposito. La compilazione di questo codice è segno dello sforzo inteso ad individuare e distinguere, in seno all'archivio, quel nucleo speciale, comprendente i privilegi e le concessioni originari e quelli relativi alle loro conferme ed agli ampliamenti che vi si aggiungono lungo il corso dei secoli e che presto formeranno una speciale raccolta, che dal XIX in poi verrà denominata Tabulario di S. Maria di Monreale e che ha una storia tutta particolare. Agli inizi del sec. XVI quei documenti erano contenuti in una cassa di legno, detta "caxa di li privilegi", custodita nel Tesoro del Duomo e oggetto di frequenti inventariazioni, dalle quali il numero dei documenti risultava sempre diverso. Nel 1551, il benedettino Teofilo de Franco trascrive 32O documenti in un volume, detto Liber Pandectarum. Ma già in quel secolo l'attenzione alla raccolta era motivata non solo da ragioni di interesse, ma anche da ragioni diplomatiste, sicché si accresce la cura per la loro conservazione. Ludovico I Torres, Arcivescovo di Monreale, nel suo sinodo del 1575, prescrive che quei privilegi, di cui egli aveva curato un riordinamento, siano custoditi nella cassa, riposta nella sacrestia e da chiudere con tre chiavi, di cui una affidata allo stesso Arcivescovo, l'altra al Governatore di Monreale e la terza al Pretore della città. Sembra che in questo egli non facesse altro che confermare una precedente disposizione impartita nel 1564 o 1569 dal suo predecessore, il card. Alessandro Farnese, il qualche avrebbe anche disposto che la cassa fosse di ferro. Per la prima volta quei documenti vengono pubblicati, in compendio, a cura del card. Ludovico II Torres, nel 1596, a Roma, sotto il titolo di Sommario dei privilegi dell'Arcivescovato di Monreale, in appendice alla Historia della Chiesa di Monreale, pubblicata sotto il nome di Gian Luigi Lello, suo segretario. Il Sommario riguarda 227 documenti, alcuni dei quali non facevano parte della raccolta contenuta nella cassa. Lo stesso Ludovico II dispone che la cassa sia conservata presso la Biblioteca del Seminario, da lui fondato, ma nel 1652 la troviamo di nuovo nella sacrestia. Nel 17O2, Michele del Giudice, che ripubblica ed aggiorna l'opera del Lello, pubblica anche 5O documenti. Pochi anni dopo, nel 17O5, il card. Francesco del Giudice, Arcivescovo di Monreale, sensibile alle sollecitazioni illuministiche di quel tempo, incarica un dotto alunno del Seminario di Monreale, Giorgio Guzzetta, di studiare e trascrivere quei documenti, che risultano allora in numero di 237. Ma non si conoscono i risultati di quel lavoro. La cassa dei privilegi, di legno, continua ad essere conservata nella sacrestia, in un armadio incavato nel muro, fino all'incendio del 1811, quando viene temporaneamente trasferita nell'abbazia di S. Castrense.

Nel 1834, l'abate benedettino Giambattista Tarallo, sopra ricordato, pubblica un inventario di documenti, arricchendolo di preziose annotazioni. Nel l835, il Tabulario viene riportato nel monastero dei benedettini. L'Arcivescovo Benedetto Balsamo ne fa allora una attenta verifica e numerazione firmando i singoli documenti ed affidandoli in custodia al Tarallo con l'incarico di metterli in ordine e continuarne la raccolta sino a quei giorni. Il Tarallo si mette subito all'opera e nel 1840 ha già "compito l'indice cronologico di questi diplomi, li ha tutti trascritti in caratteri moderni, sono stati già tradotti gli arabi ed i greci, ha fatto costruire un armadio di noce, ove sono già situati, secondo il metodo del diplomatico abate Fumagalli ed ha precisato quelli che sono stati pubblicati". Quanto al completamento della raccolta il Tarallo esprime l'impossibilità di riuscirvi, poiché gli altri documenti avrebbero dovuto trovarsi nell'Archivio generale delle cui condizioni egli riferisce, come fra poco vedremo. Il Tarallo si prefiggeva di pubblicare il proprio lavoro, ma il desiderio è rimasto insoddisfatto, a causa del mancato impegno finanziario, che avrebbe dovuto gravare sulla Mensa arcivescovile. Si potrebbe parlare della proprietà del Tabulario, che i benedettini attribuivano al monastero. Ma per ogni intervento su di esso, come per il trasporto della cassa dal monastero di S. Castrense a quello dei benedettini e per la sua apertura e la verifica erano stati necessari i sovrani rescritti, appunto perché considerati beni demaniali. Il regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866, relativo alla soppressione delle Corporazioni religiose ed alla confisca dei loro beni, trova il Tabulario ben ordinato e custodito nell'armadio apposito in una stanza del monastero, vicina all'abitazione dell'Abate, e viene preso in consegna dalla Commissione di Antichità e Belle Arti per conto dello Stato, ma esso continua a conservarsi nei locali dell'ex monastero dei benedettini di Monreale. Le vicende ed il contenuto del Tabulario vengono illustrate da Carlo Alberto Garufi, nel 1902 e, nel 1904, da Gaetano Millunzi, suo antagonista e rivale. Nel 1939, il Tabulario viene trasferito presso la Biblioteca Nazionale, adesso Regionale Centrale di Palermo, dove in atto si conserva. Recentemente, Anna Maria Grasso, nella rivista Beni Culturali ed Ambientali della Sicilia, ne ha sintetizzato la storia, anche se non ha utilizzato l'abbondante documentazione sull'argomento esistente presso l'Archivio Centrale dello Stato di Roma.

Tutte le citate pubblicazioni e la documentazione esistente presso l'Archivio Centrale dello Stato in Roma, ci consentono di conoscere in modo soddisfacente quali traversie e dispersioni abbia subito questa preziosa raccolta. Ho voluto fare questo cenno piuttosto ampio al Tabulario non solo perché esso ha una grande importanza, ma soprattutto perché esso rappresenta il nucleo originario attorno al quale si sviluppa quell'Archivio che forma l'oggetto della presente relazione, cioè l'Archivio generale al quale veniva considerato concettualmente appartenente.

L'Archivio generale aveva sede nella Casa Comunale, la quale era detta appunto "Arcivu", dove si conservavano promiscuamente i documenti ed i registri ecclesiastici e civili dell'Arcivescovato. Nello stesso "Arcivu" si conservavano anche i registri e gli atti della Mensa Arcivescovile, cioè dell'Amministrazione dei beni dell'Arcivescovato, costituiti dal reddito dei suoi 72 feudi, la cui estensione era pari a quasi un quinto del territorio dell'attuale Provincia di Palermo. Anche questo Archivio, che adesso si conserva presso l'Arcivescovato di Monreale, ha avuto vicende assai burrascose. La sua importanza è eccezionale, perché esso, qualora venisse riordinato in modo scientifico e razionale, consentirebbe di ricostruire la storia economica e sociale di una vasta estensione del territorio della Sicilia, in cui sono nati e si sono sviluppati fenomeni socio-culturali negativi di cui forse ancora oggi portiamo le conseguenze.

Mentre il Tabulario di cui sopra conserva i documenti istitutivi dell'Arcivescovato e quelli di concessione e di conferma dei privilegi di cui esso era dotato, invece l'Archivio generale, di cui qui mi occupo, conserva la documentazione relativa alle attività di quell'Ente, l'Arcivescovato, istituito da Guglielmo II ed avente funzioni religiose, civili e giudiziarie sul territorio formante l'Archidiocesi di Monreale. Re Guglielmo II, conferendo all'Arcivescovo di Monreale i poteri civili e giudiziari non aveva certo rinunziato alla sovranità su quel territorio, ma aveva inteso delegare all'Arcivescovo, in modo assai ampio, poteri propri del sovrano, cioè dello Stato e ciò per facilitare quell'opera di penetrazione latino occidentale, cui ho accennato. Questa delega si mantiene operante, salvo brevissime parentesi da iscrivere ai momenti più difficili della vita del Regno di Sicilia, fino al 1812, anno in cui vengono aboliti i privilegi feudali e vengono a cessare in conseguenza i poteri civili e giudiziari dell'Arcivescovo. Ne consegue che, poiché l'Arcivescovo assommava nelle sue mani il potere religioso, civile e giudiziario, l'Archivio storico dell'Arcivescovato, oggetto del presente lavoro, non può considerarsi prettamente ecclesiastico, sibbene misto, cioè ecclesiastico e civile. Tuttavia esso ha carattere unitario e direi inscindibile, come di un corpo unico, sia perché tutta la documentazione fa capo ad un vertice unico, sia soprattutto per la compenetrazione tra la sfera dello spirituale e del temporale che a quell'epoca era considerata pienamente legittima. Di tale realtà bisogna anzitutto tener conto nella valutazione della natura di quest'Archivio, che riflette in re quella fusione tra temporale e spirituale che era in intellectu degli operatori. La storia di questo archivio è piena di traversie. Contro trafugamenti e sottrazioni di documenti, il card. Ippolito dei Medici, nel 1532 ottiene da papa Clemente VIII una bolla con cui si prevede che sarà inflitta ipso facto la scomunica a quei "figli dell'iniquità", che avessero sottratto alla Chiesa di Monreale "scritture pubbliche e private, contratti, obbligazioni" e altri documenti. Ma pochi decenni dopo, nel 1564, "nonnulli inquitatis filii... hanno robbato, occultato, strazzato, amoxhato multi libri, quinterni, scripturi, processi decisi et pendenti, mandati di ludichi, polizi, informationi, privilegii et altri scripturi et ancora strazzato acti da registri di dicti libri et scripturi della curti temporali et spirituali di dicto Archiepiscopato et Archivio di dicta curti, in grave damnu di dicta ecclesia et preiudicio di li parti interessati...". Si deve forse a questo fatto la nomina di un archivista. Sul piano generale non mancavano leggi e disposizioni ecclesiastiche che disciplinavano gli archivi. Per non citare altre precedenti, basta ricordare quelle del Concilio di Trento, che prescrive l'obbligo del registro dei battezzati e la sua diligente custodia: il breve Inter omnes di Pio V, emanato il 6 giugno 1566 con cui vengono confermati ed estesi alla Chiesa universale i decreti di S. Carlo Borromeo, emanati nel sinodo milanese dell'anno precedente, con cui, tra l'altro, viene prescritta l'istituzione degli archivi e la loro buona tenuta; il Motu proprio del 10 agosto 1568, di Pio V, per la stesura dell'inventario degli archivi, la costituzione apostolica Muneris nostri, dello stesso Pio V, emanata il 1° marzo 1571, con cui, allo scopo di evitare i gravi inconvenienti che si verificavano nell'amministrazione della giustizia, si impone ai Vescovi della Sicilia l'obbligo di redigere ogni anno l'inventario dei processi in corso e custodirlo diligentemente. Alle Congregazioni monastiche di tutta Italia, Sisto V, col breve Regularium personarum del 20 giugno 1588, impone l'obbligo di redigere l'inventario dei beni e dei documenti e di mandarlo nell'archivio dei loro monasteri in Roma. Lo stesso pontefice, con la Costituzione Apostolica Sollicitudo pastoralis del 1 agosto 1588, impone l'erezione degli archivi in ogni città dell'orbe cattolico; Paolo V fonda l'Archivio Vaticano, ordinandone la costruzione, e col breve Cum nuper del 31 gennaio 1612, lo dichiara compiuto dando istruzioni per il suo funzionamento. E la serie delle prescrizioni potrebbe continuare sino all'attuale Codice di diritto canonico. Queste precise disposizioni non potevano non trovare altrettanto precisi riscontri in Monreale, dove, a partire dalla seconda metà del sec. XVI, troviamo Arcivescovi colti e illuminati, che hanno con Roma rapporti assai intensi. L'arcivescovo Alessandro Farnese junior (1536-1573), che introduce a Monreale la riforma tridentina, si occupa anche degli archivi nel suo primo sinodo tenuto a Monreale nel 1554. Nel 1558 egli dà disposizioni anche per la ricostruzione dello Archivio del Comune (= Ufficio) e nel 1566 egli nomina archivista pubblico un notaio, Antonino De Agra. I suoi immediati successori, Ludovico I Torres (1573-1584) e Ludovico II Torres (1588-1609), proseguono nella stessa direzione: il primo con il suo sinodo del 1575, il secondo nei suoi otto sinodi. Fino ad allora, la funzione prevalente negli archivi era stata quella di conservare i documenti quali strumenti per la difesa e la conservazione dei possessi e dei privilegi; con il Torres II, uomo tra i più colti del suo tempo ed umanista tra i più raffinati ed intelligenti, l'archivio assume una funzione più ampia mirando perfino alla conservazione della cronaca. Il suo successore, Girolamo Venero (1620-1628), esperto canonista, è quello che meglio esprime questa coscienza ed ha proprio ragione Gaetano Millunzi quando lamenta che la mancata osservanza delle precise norme date dal Venero per la conservazione dei documenti non ci permettono oggi di possedere una fonte che sarebbe stata assai ricca di informazioni. Infatti, nella realtà, le cose sono andate molto diversamente da come prescritto.

La storia degli archivi di Monreale è la storia della lotta contro le sottrazioni e le dispersioni dei documenti. Soprattutto quando la funzione preminente degli archivi era quella di conservare i titoli di possesso essi erano particolarmente presi di mira. Le contese, spesso molto accese, tra i benedettini, il clero secolare e l'Arcivescovo erano frequenti cause di sottrazioni. L'Arcivescovo Cosimo Torres (1634-1642) recupera una cassa di documenti che il benedettino Tommaso da Monreale teneva nella sua cella del monastero di Monreale ed un'altra cassa che lo stesso benedettino teneva nella sua cella del monastero palermitano di S. Giovanni degli Eremiti. Dagli inventari delle due casse rileviamo che la maggior parte dei documenti riguardava i possedimenti del monastero ma vi troviamo anche registri di conti e corrispondenza. Un'altra causa di perdite poteva derivare anche dai tumulti popolari, in occasione dei quali il furore popolare si accaniva contro quegli Uffici dove si conservavano documenti comprovanti oneri dei quali ci si voleva liberare, come in occasione della rivolta anti-spagnola del 1647 ed in quella del 1820, come vedremo, determinata dai moti carbonari. Per il 1647 possediamo una puntigliosa nota di cronaca lasciataci dal notaro della Corte arcivescovile Antonio Giandilivigni, il quale ci informa che "doppo del caso successo dell'abbrugiamento delle banche del Maestro Notaro Ordinario che fu a 24 di maggio XV ind. 1647, furono bruggiati tutti i libri civili e criminali dell'anno XIV ind. prossima passata e tutti altri scritturi et informazioni nella suddetta banca esistenti, et anco il libro delli atti criminali del presente anno XV ind. del 6 di settembre pross. passato a tutto il detto giorno 21 di maggio et anco fu abbrugiato il Registro temporali dell'anno 7 ind. pross. passata quali era venuto dall'Arcivo di questa città di Monreale per copiarsi li bandi del Mag.co Capitano di questa città. E questo si ha scritto ut in futurum appareat".

In alcuni casi non si attendeva un tumulto per distruggere le prove di oneri sgraditi. Così, nel 1655 il Vicario generale dell'Arcivescovo, facendo appello anche al sentimento religioso essendo "... stati occultati fraudati et derubati molte scritture, libri, copii, i contratti, assenti, testamenti e altri spettanti alli Rev.di Canonici secolari di detta metropolitana Chiesa..." ordina di rivelare i misfatti o denunziare gli autori, sotto pena di scomunica ed evidenziando le dannose conseguenze per le anime del Purgatorio.

Poiché Monreale era archidiocesi di Regio patronato, era soggetta alle periodiche ispezioni che i sovrani disponevano per mezzo di visitatori regi, allo scopo soprattutto di accertare la regolarità del funzionamento dell'apparato finanziario dei benefici ecclesiastici di regio patronato. I Visitatori regi venuti a Monreale, cioè Pietro Pujades nel 1515, Francesco Vento nel 1542, Giacomo Arnedo nel 1552, Francesco dal Pozzo nel 1583, Filippo Giordi nel 1604, si occupano piuttosto attentamente della conservazione dei documenti relativi ai beni dell'Arcivescovato, ma non danno uno sguardo all'Archivio generale.

Diverso è il caso dell'ultimo di essi, Gian Angelo De Ciocchis, che nel 1741 effettua per conto di Carlo III di Borbone la visita delle diocesi siciliane di regio patronato. Gli Archivi dell'Arcivescovato di Monreale, egli ci informa, sono tre. Il primo consiste in una cassa di ferro posta nel sacrario della Chiesa e fornita di tre chiavi, una tenuta dall'Arcivescovo, l'altra dal Pretore e la terza dal notaro della Mensa. In essa si conservano i privilegi, i diplomi e le pergamene originali. E qui si tratta del Tabulario, che conosciamo. Il secondo è un piccolo archivio dell'Arcivescovo che si trova nel Seminario, in cui si conservano i documenti ed i registri riguardanti la Mensa. Il terzo è l'archivio della giurisdizione episcopale, sia ecclesiastica che temporale, che si trova nel Municipio della città ed è affidato ad un notaio pubblico laico, che viene nominato archivista dall'Arcivescovo. In esso si conservano gli atti delle visite ed i decreti, i processi civili e penali, tanto del foro ecclesiastico che secolare, i libri dei redditi della città e tutti gli altri atti della cancelleria ecclesiastica e di quella civile dell'Arcivescovo. Il regio visitatore ispeziona dunque i tre archivi e dispone che essi siano unificati sotto la direzione di un solo archivista, scelto però tra gli ecclesiastici. L'archivio del monastero inoltre - è sempre il Visitatore che dispone - sia ampliato; sia compilato un inventario delle carte dell'archivio del Seminario e, ogni volta, la presa in consegna sia regolarmente annotata: gli armadi siano muniti di rete di ferro e di chiave; le finestre siano protette di grate di ferro e la porta rinforzata. Specialmente sia custodito l'archivio della Mensa e non si consenta di portar fuori atti e registri, ma occorrendo, si estraggano copie. Il Visitatore conclude la sua relazione con una significativa constatazione: "Poi che la maggior parte delle volte accade che alla morte dell'Arcivescovo gli archivi arcivescovili vengono spogliati ed i documenti che si trovano nello stesso locale, cioè della segreteria, diplomi, le scritture e le altre cose appartenenti alla Mensa ed alla Chiesa vengono facilmente disperse, sarà cura dell'Amministratore della Maramma, eletto dall'avvocato fiscale del Regio Patronato, immediatamente, non appena avvenuta la morte dell'Arcivescovo, chiudere gli archivi e tutti gli armadi delle scritture dinanzi all'Arcidiacono ed al Pretore della città ed apporvi i sigilli, dopo aver deposto diligentemente e fedelmente nello stesso archivio tutte le scritture e le lettere che troverà nell'abitazione dell'Arcivescovo e nella Segreteria, senza permettere a nessuno di leggerle. Non consegnare poi detto archivio se non al nuovo Arcivescovo, se tuttavia, una necessità urgente non richiederà diversamente e di tutto ciò abbia cura che sia redatto pubblico strumento per mano del notaro". Magari fossero state osservate queste norme! Venti anni dopo, nel 1761, il Pretore ed i Giurati di Monreale, avendo constatato che nel pubblico archivio erano mancati "molte quantità di registri, libri di atti, incartamenti, scritture ed altra sorte di scritture" e che, malgrado ogni ricerca era stato impossibile recuperare quanto mancava, chiedono all'Arcivescovo di fulminare la scomunica, ipso facto incurrenda, per quanti non riferiscano ogni informazione utile al recupero dei documenti. L'Arcivescovo lancia la scomunica, come richiesto. Ma non si ha notizia dell'esito. Può solo dirsi che questo provvedimento non è un caso isolato. A questi disastri se ne aggiungono altri, non meno gravi, come gli incendi ed i traslochi. In occasione dei moti del 1820, i rivoltosi incendiano il palazzo del Comune e l'archivio subisce gravi danni.

Pochi anni dopo, nei locali del Comune, viene alloggiata la Seconda Scuola Militare dell'esercito. In quell'occasione "il grande archivio antico... situato in una stanza a mezza scala della Casa comunale, e quella insieme della Gran Corte Arcivescovile... è trasportato in un magazzino e, quando poi vengono liberati i locali, l'archivio è ricollocato al suo posto". Allora "la scrittura anzidetta... rimase tutta confusa - continua la stessa fonte - oltre dal danno che la medesima soffrì, pel trasporto da un luogo ad un altro e poi da questo al suo primo sito". Ma intanto erano venuti a cessare i poteri temporali dell'Arcivescovo, aboliti, come sappiamo, per effetto della Costituzione siciliana del 1812, ed il Governo borbonico, completando e normalizzando la legislazione archivistica precedente, aveva emanato il 12 novembre 1818 la legge organica per gli Archivi, integrata poi con altre disposizioni, e rimasta in vigore fino al 1874, quando subentra la legislazione italiana. In forza dell'art. 12 della legge organica, tutte le carte ed i registri delle antecedenti giurisdizioni e quelle delle amministrazioni esistenti nella città e Provincia di Palermo dovevano concentrarsi nel Grande Archivio di Palermo. Si sente il bisogno dunque di "separare" le carte del nostro Archivio in modo che quelle appartenenti allo spirituale fossero consegnate all'Arcivescovo, le altre seguissero la sorte assegnata dalla legge. Ma su questo argomento nel 1831 e 1832 si accende subito una vivace polemica tra il Sindaco e l'Arcivescovo, l'energico Benedetto Balsamo che, forse in considerazione dell'unità organica dell'Archivio voleva mantenerlo in suo potere. La separazione delle carte non viene più effettuata ed esse rimangono per allora lì dov'erano, cioè nel Palazzo Comunale. La loro situazione ci viene descritta pochi anni dopo, nel 1840 dal Tarallo: "... l'Archivio di questo Arcivescovato - egli dice - ricco ed interessante per molte carte e documenti, che conteneva, laddove abbracciava il civile ed il criminale della Comune, l'economico della Mensa e lo Spirituale della Corte arcivescovile, essendo stato il Prelato Barone insieme ad Arcivescovo. Ma appunto per siffatta unione ha sofferto le maggiori disgrazie, e tanto per la lunga sede vacante, quanto perle passate peripezie della Comune e della chiesa trovasi oggi nello stato il più lagrimevole, obbrobrioso e di disdecoro per questo paese: laddove tutte le carte, i registri, i libri della Comune, della Mensa e della Corte Arcivescovile vedonsi gettate in un magazzino della Casa comunale, confusamente ammucchiate in terra, infradicite, corrose, e malmenate in mezzo alla polvere, alle pietre, all'umido ed ai topi, in uno stato insomma da non potersi credere, né immaginare, di modo che non è solo impossibile ritrovarsi nessuna carta, m'andranno tutte a perire, se non si occorra a dar riparo a quelle che non sono interamente ancora perdute". Il grido accorato del Tarallo rimane lì per lì inascoltato, come succede spesso per simili cose. Ad aggravare poi la situazione sopraggiungono i rivolgimenti del 1848 che provocano altre dispersioni e lasciano l'Archivio in grande disordine, in quel magazzino dove si infiltra l'acqua piovana. Intanto, il Tarallo, essendo rimasta vacante la sede per la morte dell'Arcivescovo Francesco Brunaccini, avvenuta nel 1850, era stato eletto Vicario Capitolare, cioè reggente dell'Arcivescovato ed aveva subito profittato per fare pressioni sulle Autorità di Governo per la separazione delle carte. Ciò spiega quanto scrive il Sindaco di Monreale all'Intendente della Provincia di Palermo il 17 dicembre 1850: "... in una stanza sottoposta alla Casa comunale esistono fin dal 1820 a questa patte, confusamente riposte delle carte in gran parte inutili e logori (sic) dalla vetustà sottratte dall'incendio accaduto in quell'epoca e siccome sulle stesse ne conserva il diritto la Corte arcivescovile di questo Comune, trovasi la stanza chiusa con due chiavi differenti, una che si conserva dal maestro Notaro di detta Corte e l'altra dal cancelliere comunale. Per conseguenza non possono le cennate carte da quel luogo muoversi senza il consenso reciproco della Comune e della Corte e che per ordinarsi bisogna una gran spesa ed un lungo corso di tempo, senza nessun profitto, pella inutilità delle carte, se ciò avrebbe giovato certamente la Corte arcivescovile non sarebbe stata si lungo tempo in silenzio pell'ordinamento suddetto".

Ma qualcosa si muoveva, a dimostrazione che il giudizio del Sindaco sulla "inutilità delle carte" non era condiviso da nessuno. Una serie di rapporti del Tarallo, vicario Capitolare, e del Giudice della Regia Monarchia diretti allo scopo di separare le Carte, si accumulano sulla scrivania del luogotenente generale nei Reali Domini al di là del Faro il quale convinto che quell'Archivio "contener deve monumenti interessanti e preziosi", dà incarico allo Ufficiale della Soprintendenza Generale degli Archivi, Benedetto Bona, di separare le carte corrose o interamente guaste, del tutto inutili e mettere in ordine quelle ancora servibili secondo questa classificazione:

1 –"Carte di pertinenza dell'Azienda Arcivescovile di Monreale, ove dovranno andar compresi i diplomi che forse si rinverranno delle concessioni fatte dai Sovrani di Sicilia a quell'Arcivescovato;

2 - Carte relative al governo spirituale della Diocesi, facendo parte delle stesse gli atti della Cancelleria Arcivescovile;

3 - Carte della Curia in materia contenziosa;

4 - Carte riguardanti l'Amministrazione municipale ed i privilegi del Comune;

5 - Carte relative alla giustizia civilee penale del medesimo;

6 - Ed infine, sopra qualunque altro oggetto non compreso nelle surriferite materie".

Nessun cenno al trasferimento al Grande Archivio, anzi fa obbligo alla Mensa di costruire apposite "stanzie" per la collocazione cronologica delle Carte ed al Comune di restaurare la stanza destinata ad Archivio. Tutta l'operazione tuttavia era sottoposta alla vigilanza del Soprintendente generale del Grande Archivio. Il Bona si mette subito all'opera, mentre intanto il Comune restaura il locale e vengono costruite le stanzie sulle quali il Bona colloca le Carte, togliendole "dal nudo terreno, ove giacea disordinata e confusa la scrittura". Ma dopo un paio di anni egli tronca il lavoro, senza tuttavia fare consegne, né restituire le chiavi. Ciò spinge il Sindaco a chiedere provvedimenti. Ma qualcosa avrà pure fatta il Bona se tanto la Autorità ecclesiasticaquanto il Comune chiedono al Governo l'uno la restituzione dei "molti documenti e dei registri di spettanza dell'Arcivescovato rinvenuti presso l'antico Archivio" del Comune e l'altro la propria parte. Ma ne ottengono in risposta che detto Archivio, in virtù proprio dell'art. 12 della legge organica, si sarebbe già dovuto trovare da tempo nel Grande Archivio "se qui non fosse mancato lo spazio necessario alla conservazione delle carte". In attesa pertanto, continua la lettera, che detto spazio si trovi, come in progetto, "il mentovato archivio Comunale resti come riunito al Grande Archivio, e perciò sotto la vigilanza della Soprintendenza Generale, a norma dei sovrani regolamenti, ed alla quale dovranno dirigersi gli interessati, che richiedessero delle Carte esistenti nel medesimo officio Comunale". Con la stessa nota il luogotenente chiede all'Arcivescovo la restituzione del Tabulario, essendo morto il Tarallo, cui nel 1835 esso era stato affidato. Intanto il sig. Bona avrebbe dovuto portare a termine il lavoro "al più presto possibile" assicurava l'Intendente della Provincia. Gli avvenimenti politici del 1860 fanno però dimenticare ogni cosa e la situazione rimane bloccata, malgrado l'emanazione delle varie leggi italiane relative agli archivi. Tra la fine del secolo scorso e gli inizi dell'attuale, a Monreale si distingue il can. Gaetano Millunzi, il quale si dedica allo studio delle carte degli archivi monrealesi e va illustrando con varie monografie argomenti di storia monrealese. A lui il Commissario Comunale De Francisci, il 4 febbraio 1904 affida l'incarico di riordinare il vecchio archivio municipale. Da quel momento tutto tace.

Ma, a completare la presente esposizione occorre ricordare alcuni fatti di mia personale esperienza. Nel 1963, per incarico dell'Amministrazione Comunale di Monrealeho riordinato l'Archivio storico del Comune ed ho compilato il relativo indice sommario trasmesso anche alla Soprintendenza Archivistica, al Ministero dell'Interno ed alla Direzione dell'Archivio di Stato di Palermo. Ho constatato adesso che le prime 139 unità archivistiche appartengono all'Archivio di cui alla presente relazione. Non ho mancato pertanto, di inserire nell'indice che qui segue la menzione di quelle unità delle serie di cui mi sto occupando, in modo da rendere più facile la ricerca agli studiosi. Un'altra quantità di documenti, sempre appartenenti all'Archivio storico dell'Arcivescovato, si trovava nell'Archivio storico del Duomo di Monreale, del quale ho pure curato l'inventario. Nel corso dei lavori ho segnalato la circostanza all'Arcivescovo del tempo, mons. Corrado Mingo, il quale con suo decreto dell’11 maggio 1968, ha disposto il trasferimento all'Archivio storico dell'Arcivescovato di quella parte della documentazione che si trovava presso il Duomo, ma che non apparteneva ad esso. In tal modo l'Archivio storico dell'Arcivescovato ha raggiunto una maggiore completezza. Con l'avvio del presente riordinamento voluto da mons. Cassisa, l'Archivio storico dell'Arcivescovato di Monreale entra in una nuova fase della sua storia: fase che si spera ponga definitivamente termine ad un'epoca di infelici traversie.

Mons. Cassisa infatti non soltanto ne ha disposto l'ordinamento razionale e scientifico, ma sta provvedendo alla deumidificazione dei locali e con lettera del 18 dicembre 1985, n. 362 diretta alla Soprintendenza Archivistica per la Sicilia ne ha chiesto la dichiarazione di notevole interesse storico ai sensi dell'art. 36 del Decreto del Presidente della Repubblica del 30 settembre 1963, n. 1409. La Soprintendenza ha emesso il relativo provvedimento in data 21 dicembre 1985 e lo ha notificato il 16 gennaio 1986.

Prima di passare alla parte descrittiva, mi sembra opportuno ricordare, allo scopo di completare il panorama, che l'Archivio storico dell'Arcivescovato non è il solo Archivio storico ecclesiastico che Monreale possiede, ma ci sono anche quello del Duomo, che contiene una documentazione assai preziosa per la storia locale e quello della Collegiata, del quale pure ho compilato un indicee che contiene quanto ci è rimasto degli archivi delle Corporazioni religiose soppresse nel 1866. In campo civile, oltre al ricordato Archivio del Comune vi era anche il prezioso archivio dei notari di Monreale, del quale si potrebbero ricostruire le vicende spesso penose e che nel 1899 viene consegnato al Conservatore dell'Archivio notarile Distrettuale di Palermo e che adesso si trova nell'Archivio di Stato. Ma la conclusione più interessante che traggo da quanto fin qui esposto è che, con il presente lavoro, ho trovato l'archivio storico del Comune di Monreale, relativo al periodo antecedente al 1820, fatto che mi sembra di eccezionale importanza per il Comune.

L'Archivio storico del Comune, del quale nel 1963 ho redatto l'inventario, comprende infatti solo documenti che vanno dal 1820 in poi. Eccetto che per quelle prime 139 unità di cui ho parlato, nessuno sapeva che il Comune avesse un vero Archivio storico che, per quanto abbia potuto soffrire perdite e danni, si presenta ancora di tutto rispetto, sicché la storia di Monreale può essere ritessuta su basi solide e scientifiche e che possono considerarsi soddisfacentemente complete.

Un'ultima osservazione va fatta per la sezione relativa alla giurisdizione metropolitica. Sebbene la documentazione abbia prevalente carattere religioso, essa ci offre una preziosa quantità di informazioni, mai utilizzata finora, su più di 60 comuni della Sicilia orientale, appartenenti alle diocesi di Catania e di Siracusa.